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Écouter Gilles Deleuze
Sur Leibniz
Saremo occupati per un po’ di tempo da una serie (di lezioni) su Leibniz. Il mio scopo è molto semplice: per quelli che non lo conoscono per nulla, provare a progredire, farvi amare quest’autore e darvi una certa voglia di leggerlo.
Per cominciare Leibniz, c’è uno strumento di lavoro ineguagliabile. Fu il compito di una vita, una vita molto modesta, ma molto profonda. E’ una signora, signora Prenant, che già da molto tempo ha fatto una raccolta di pezzi scelti di Leibniz. D’abitudine i pezzi scelti sono molto dubbiosi, ma in questo caso si tratta di un capolavoro. E’ un capolavoro per una ragione molto semplice: perché anche se Leibniz ha dei procedimenti di scrittura che di sicuro sono molto correnti alla sua epoca (inizio XVIII° sec.) lui li spinge fino a un punto straordinario. Certo, come tutti i filosofi fa dei grossi libri, ma al limite, potremmo dire che questi grossi libri non sono l’essenziale della sua opera perché l’essenziale della sua opera è nella corrispondenza e nei piccoli scritti memoriali. I grandi testi di Leibniz, sono molto spesso dei testi di quattro o cinque pagine, dieci pagine, o appunto delle lettere. Scrive un po’ in tutte le lingue e in un certo modo, è il primo grande filosofo tedesco. Rappresenta l’arrivo in Europa della filosofia tedesca. L’influenza di Leibniz sarà immediata sui filosofi romantici del XIX° sec. Tedesco, non solo, essa si farà sentire particolarmente in Nietzsche.
Leibniz è uno dei filosofi più adatti per dare una risposta adeguata a questa domanda: che cos’è la filosofia? Chi è un filosofo? Di cosa si occupa? Se si pensa che le definizioni come la ricerca del vero, o della saggezza, non siano adeguate, c’è un’attività filosofica? Vorrei dire molto velocemente come io vedo il rapporto del filosofo con la sua attività. Si possono confrontare le attività solo in funzione di ciò che esse creano e del loro modo di creazione. Bisogna domandarci cosa crea un falegname? Cosa crea un musicista? Cosa crea un filosofo? Un filosofo, è per me qualcuno che crea dei concetti. Ciò implica diverse cose: che il concetto sia qualcosa che deve essere creato, che il concetto sia il termine di una creazione.
Non vedo nessuna possibilità di definire la scienza se non s' indica qualcosa che è creato dalla e nella scienza. Ora, può darsi che ciò che è creato dalla e nella scienza, io non sappia bene cosa sia, ma non saranno dei concetti propriamente parlando. Il concetto di creazione è stato molto più legato all’arte piuttosto che alla scienza o alla filosofia. Che cosa crea un pittore? Crea linee e colori. Ciò implica che le linee e i colori non sono già dati, sono i termini di una creazione. Ciò che è già dato, al limite, potremmo sempre nominarlo un flusso. Sono i flussi che sono già dati e la creazione consiste nel ritagliare, organizzare, connettere dei flussi, in modo tale che si delinei o si compia una creazione intorno a certe singolarità estratte dai flussi.
Un concetto non è per niente qualcosa di già dato. Inoltre un concetto non è la stessa cosa che il pensiero: possiamo facilmente pensare senza concetto, e anche tutti quelli che non fanno della filosofia, io credo che essi pensino, che pensino a tutti gli effetti, ma che non pensano per concetti - se voi accettate il fatto che il concetto sia il termine di una attività o d’una creazione autentica.
Io direi che il concetto, è un sistema di singolarità prelevate da un flusso di pensiero. Un filosofo, è qualcuno che fabbrica concetti. E’ qualcosa d’intellettuale? A mio avviso, no. Poiché un concetto in quanto sistema di singolarità prelevate da un flusso di pensiero… immaginate il flusso di pensiero universale come una specie di monologo interiore, il monologo interiore di tutti quelli che pensano. La filosofia scaturisce con l’atto che consiste a creare dei concetti. Per me, c’è tanta creazione nella fabbricazione di un concetto che nella creazione di un grande pittore o di un grande musicista. Possiamo concepire anche un flusso acustico continuo (forse non è che un idea, ma poco importa se questa idea è fondata) che attraversa il mondo e che comprenda anche il silenzio. Un musicista è qualcuno che preleva da questo flusso qualche cosa: delle note? No? Che cosa chiameremo il nuovo suono di un musicista? Sentite bene che non si tratta semplicemente del sistema di note. E’ la stessa cosa per la filosofia, solo che non si tratta di creare dei suoni ma dei concetti.
Non è questione di definire la filosofia con una ricerca qualunque della verità, e per una ragione molto semplice: ovvero che la verità è sempre subordinata al sistema di concetti di cui disponiamo. Qual’ è l’importanza dei filosofi per i non-filosofi? E’ che i non-filosofi possono benissimo non saperlo, o mostrare di disinteressarsene, che lo vogliano o no essi pensano attraverso dei concetti che hanno dei nomi propri. Riconosco il nome di Kant non alla sua vita, ma ad un certo tipo di concetti che sono firmati da Kant. Allora, essere discepolo di un filosofo è qualcosa che possiamo facilmente concepire. Se voi siete nella situazione di dire che tal filosofo ha segnato dei concetti per cui voi sentite il bisogno, in quel caso siete kantiani, leibniziani etc.
E’ una cosa che non stupisce il fatto che due grandi filosofi non siano d’accordo l’uno con l’altro nella misura in cui ognuno crea un sistema di concetti che gli serve da riferimento. Dunque non abbiamo solo questo da giudicare. Possiamo benissimo non essere discepoli che localmente, su questo o quel punto – la filosofia, se ne distacca (ça se détache). Voi potreste essere discepoli di un filosofo nella misura in cui voi ritenete avere una necessità personale per questo tipo di concetti. I concetti sono delle firme spirituali. Ma ciò non vuol dire che siano nella testa, perché i concetti sono anche dei modi di vita – e non è per scelta o per riflessione, il filosofo non riflette di più rispetto al pittore o al musicista -; le attività si definiscono per un' attività creatrice e non per una dimensione riflessiva. Quindi, cosa vuol dire: aver bisogno di questo o quel concetto? In un certo modo, mi dico io, i concetti sono delle cose talmente vive, veramente delle cose a quattro zampe, si muovono, ecco! Sono come un colore, come un suono. I concetti, sono talmente vivi, da non essere senza rapporto con ciò che a prima vista sembrerebbe qualcosa di molto lontano dal concetto, a ben vedere il grido.
In un certo modo, il filosofo, non è qualcuno che canta, è qualcuno che grida. Ogni volta che voi avete bisogno di gridare, penso che non siate lontani da una specie di chiamata della filosofia. Che cosa vuol dire che il concetto sarebbe una specie di grido o una specie di forma del grido? E’ questo, aver bisogno di un concetto: aver qualcosa da gridare! Bisognerà trovare il concetto di questo grido, qui… Possiamo gridare mille cose. Immaginate qualcuno che grida: “Comunque bisogna che tutto questo abbia una ragione”. E’ un grido molto semplice. Nella mia definizione: il concetto è la forma del grido, immaginiamo subito una serie di filosofi che direbbero “si, si”! Sono i filosofi della passione, i filosofi del pathos, distinti dai filosofi del logos. Per esempio, Kierkegaard, fondò tutta la sua filosofia su dei gridi fondamentali.
Ma Leibniz è della grande tradizione razionalista. Immaginate Leibniz: c’è qualcosa che ci lascia sbigottiti. E’ il filosofo dell’ordine; di più, dell’ordine e della polizia, in tutti i sensi della parola polizia. Nel primo senso della parola polizia soprattutto, ovvero l’organizzazione ordinata della città. Non pensa se non in termini d' ordine. In questo senso è estremamente reazionario, è l’amico dell’ordine. Ma stranamente, con questo gusto per l’ordine e per fondare quest’ ordine, si abbandona ad una folle (démente) creazione di concetti mai vista in filosofia. Dei concetti scompigliati, i più esuberanti, i più disordinati, per giustificare ciò che è. Bisogna che ogni cosa abbia una ragione.
In effetti, ci sono due tipi di filosofi, se voi accettate questa definizione della filosofia come l’attività che consiste nel creare concetti, ma ci sono come due poli: ci sono quelli che attuano una creazione di concetti molto sobria; creano dei concetti di tale singolarità ben distinta dalle altre, e infine, io sogno una specie di quantificazione dei filosofi nella quale si classificherebbero in base al numero di concetti che hanno firmato o inventato. Se io mi dico: Descartes, questo è il tipo di una creazione di concetti molto sobria. La storia del cogito, storicamente, possiamo sempre trovare tutta una tradizione, dei precursori, ma ciò non toglie che ci sia qualcosa firmato Descartes nel concetto cogito, a ben veder (una proposizione può esprimere un concetto) la proposizione: “io penso, quindi sono”, è veramente un nuovo concetto. E’ la scoperta della soggettività, della soggettività pensante. E’ firmata Descartes. Certo, si potrà sempre cercare in S. Agostino, verificare se non fosse già preparato – c’è sicuramente una storia dei concetti, ma è firmato Descartes. Descartes, non abbiamo fatto troppo alla svelta? Possiamo assegnargli cinque o sei concetti. E’ qualcosa di grande aver inventato cinque o sei concetti, ma è una creazione sobria. E poi ci sono i filosofi esasperati. Per essi, ogni concetto copre un insieme di singolarità, e poi hanno sempre bisogno di altre, sempre di altri concetti. Assistiamo ad una folle creazione di concetti. L’esempio tipico è Leibniz; non la smette mai di creare qualcosa di nuovo. E’ questo che vorrei spiegare.
E’ il primo filosofo a riflettere sulla potenza della lingua tedesca in rapporto al concetto, in cosa il tedesco è una lingua eminentemente concettuale, e non è per caso che essa possa essere anche una grande lingua del grido. Attività multiple – si occupa di tutto -, gran matematico, grandissimo fisico, valente giurista, molte attività politiche, sempre al servizio dell’ordine. Non smette mai, è molto ambiguo. C’è una visita di Leibniz a Spinoza (quest' ultimo, è l’anti-Leibniz): Leibniz fa leggere dei manoscritti, ci si immagina Spinoza esasperato domandarsi che cosa vuole questo tipo. A riguardo, quando Spinoza è attaccato Leibniz dice di non esser mai andato a fargli visita, dice che è stato da lui solo per sorvegliarlo… Abominevole. Leibniz è abominevole. Date: 1646-1716. Una lunga vita, a cavallo di molte cose. C’è infine una specie d' umore diabolico. Direi che il suo sistema è piuttosto piramidale. Il grande sistema di Leibniz ha diversi livelli. Nessuno di questi livelli è falso, questi livelli simbolizzano gli uni con gli altri e Leibniz è il primo grande filosofo a concepire l’attività e il pensiero come una vasta simbolizzazione.
Quindi tutti questi livelli simbolizzano, ma sono tutti più o meno vicini a ciò che potremmo chiamare provvisoriamente l’assoluto. Ora, fa anche parte della sua opera. Seguendo il corrispondente di Leibniz o il pubblico al quale si rivolge, presenta tutto il suo sistema a tale livello. Immaginate che il suo sistema sia fatto di livelli più o meno contratti o più o meno distesi; per spiegare qualcosa a qualcuno, si installa a tale livello del suo sistema. Supponiamo che il qualcuno in questione sia sospettato da Leibniz di avere un’intelligenza mediocre: molto bene, è rapito (ravi), si installa ad un livello fra i più bassi del suo sistema; se si rivolge a qualcuno di più intelligente, salta a un altro livello. Come questi livelli facciano parte implicitamente degli stessi testi di Leibniz, ciò crea non pochi problemi per i commenti. E’ complicato perché, a mio avviso, non si può mai basarsi su un testo di Leibniz se non si è dapprima sentito il livello del sistema al quale il testo in questione corrisponde.
Per esempio, ci sono dei testi in cui Leibniz spiega ciò che secondo lui è l’unione dell’anima e del corpo; bene, è a questo o a quel corrispondente. Ad un corrispondente spiegherà che non c’è nessun problema riguardo l’unione di anima e corpo poiché il vero problema, è il problema del rapporto delle anime tra loro. Le due cose non sono affatto contraddittorie, sono due livelli del sistema. Cosicché se non si valuta il livello di un testo di Leibniz, allora avremmo l’impressione che non la smetta mai di contraddirsi, ma in effetti non si contraddice per nulla. Leibniz è un filosofo molto difficile. Vorrei dare dei titoli ad ogni parte di ciò che ho da proporvi. Il grande 1) vorrei chiamarlo uno strano pensiero (Drôle de pensée). Quindi, sono autorizzato dall’autore stesso. Leibniz sognava molto, ha un lato fantascientifico assolutamente formidabile, immagina senza sosta delle istituzioni. In questo piccolo testo “Drôle de pensée”, immaginava un’istituzione molto inquietante che era la seguente: avremmo bisogno di un’accademia dei giochi. In quell’ epoca, come anche in Pascal, o in altri matematici, in Leibniz stesso, venne allestita la grande teoria dei giochi e delle probabilità. Leibniz è uno dei grandi fondatori della teoria dei giochi. E’ un appassionato dei problemi matematici di gioco, lui stesso doveva essere un buon giocatore. Immagina quest’accademia dei giochi che presenta come dover essere allo stesso tempo – perché allo stesso tempo? Perché il punto di vista in cui ci installiamo per vedere questa istituzione, o per parteciparne – essa sarebbe allo stesso tempo una sezione dell’accademia delle scienze, un giardino zoologico e botanico, una esposizione universale, un casinò dove si gioca, e un’impresa di controllo poliziesco. Non è niente male. Chiama tutto ciò un drôle de pensée.
Supponete che io vi racconti una storia. Questa storia consiste nel prendere uno dei punti centrali della filosofia di Leibniz, e che io ve la racconti come se fosse la descrizione d’un altro mondo, e anche qui numererò le proposizioni principali che formano un drôle de pensee.
a)Il flusso di pensiero, da sempre, trascina con se un principio dal carattere molto particolare perché è uno dei pochi principi di cui possiamo esser sicuri, e allo stesso tempo non vediamo come potrebbe esserci utile. E’ qualcosa di certo, ma vuoto. Questo celebre principio è il principio d’identità. Il principio d’identità ha un’ enunciato classico: A è A. Ciò è sicuro. Se io dico il blu è blu, o Dio è Dio, non dico con questo che Dio esiste, in un certo senso mi trovo nella certezza. Soltanto, ecco: penso qualcosa quando dico A è A, oppure non penso? Proviamo comunque a dire cos’è che comporta questo principio d’identità. Si presenta sotto la forma di una proposizione reciproca. A è A, ciò vuol dire: soggetto A, verbo essere, A attributo o predicato, c’è una reciprocità del soggetto e del predicato. Il blu è blu, il triangolo è triangolo, sono proposizioni vuote e certe. Tutto qua? Una proposizione identica è una proposizione tale che l’attributo o il predicato è la stessa cosa del soggetto e può scambiarsi con esso. C’è un secondo caso, giusto un pochino più complesso, in cui il principio d’identità può determinare delle proposizioni che non sono semplicemente delle proposizioni reciproche. Non c’è più soltanto reciprocità del predicato col soggetto e del soggetto con il predicato. Supponete che io dica: “Il triangolo ha tre lati”, non è la stessa cosa che dire “il triangolo ha tre angoli”. “Il triangolo ha tre angoli” è una proposizione identica perché reciproca. “Il triangolo ha tre lati” è un po’ diverso, non c’è reciprocità. Non c’è identità del soggetto e del predicato. In effetti, tre lati, non è la stessa cosa che tre angoli. Tuttavia c’è una necessità detta logica. E’ una necessità logica nel senso che voi non potete concepire tre angoli che compongono una figura senza che questa figura abbia tre lati. Non c’è reciprocità ma inclusione. Tre lati sono inclusi in triangolo. Inerenza o inclusione. Allo stesso modo, se io dico che la materia è materia, “ materia è materia”, è una proposizione identica sotto la forma di una proposizione reciproca; il soggetto è identico al predicato. Se io dico che la “materia è estesa” , è ancora una proposizione identica perché io non posso pensare il concetto di materia senza introdurci già da subito l’estensione. L’estensione è nella materia. Non è affatto una proposizione reciproca visto che io posso benissimo pensare un’estensione senza niente che la riempia, cioè senza materia. Non è quindi una proposizione reciproca, ma una proposizione d’inclusione; quando io dico “la materia è estesa”, questa è una proposizione identica per inclusione.
Direi quindi che le proposizioni identiche sono di due tipi: sono proposizioni reciproche quelle in cui il soggetto e il predicato sono lo stesso e proposizioni d’inerenza o d’inclusione quelle in cui il predicato è contenuto nel concetto del soggetto.
Se io dico “questa foglia ha un dritto e un rovescio” – no lasciamo perdere, sopprimo il mio esempio… A è A, è una forma vuota. Se io cerco un enunciato più interessante del principio di identità, direi alla maniera di Leibniz che il principio d’identità si enunci così: ogni proposizione analitica è vera.
Cosa vuol dire analitica? In base agli esempi che abbiamo fatto, una proposizione analitica è una proposizione tale che il predicato o l’attributo è uguale al soggetto, esempio: “il triangolo è triangolo”, proposizione reciproca, sia proposizione d’inclusione “il triangolo ha tre lati”, il predicato è contenuto nel soggetto in modo che quando voi abbiate concepito il soggetto il predicato era già contenuto in lui. Vi basta quindi un’analisi per trovare il predicato nel soggetto. Fino a questo punto, Leibniz come pensatore originale non è ancora venuto in luce.
b) Leibniz viene si mette in evidenza. Si mette in evidenza sotto la forma di questo grido molto strano. Gli darò un enunciato più complesso di quello di prima. Tutto ciò che si dice non è della filosofia, è della pre-filosofia, è il terreno sul quale scaturirà una filosofia molto prodigiosa.
Leibniz arriva e dice: molto bene. Il principio d’identità ci da un modello certo. Perché un modello certo? Nel suo stesso enunciato, una proposizione analitica è vera se voi attribuite ad un soggetto qualcosa che non fa che uno con il soggetto stesso, o che si confonde, o che è già contenuto nel soggetto. Voi non rischiate di sbagliarvi. Quindi ogni proposizione analitica è vera.
Il colpo di genio pre-filosofico di Leibniz, sta nel dire: analizziamo la reciproca! Qui comincia qualcosa di assolutamente nuovo e pertanto molto semplice – bisognava pensarci. E cosa vuol dire “bisognava pensarci”, ciò vuol dire che bisognava averne bisogno, che risolvesse qualcosa di molto urgente per lui. Che cos' è la reciproca del principio d’identità nel suo enunciato complesso “ogni enunciato analitico è vero”? La reciproca pone molti problemi in più. Leibniz arriva e dice: “ogni proposizione vera è analitica”. Se è vero che il principio d’identità ci da un modello di verità, perché ci imbattiamo sulla difficoltà seguente, ovvero: è vero ma non ci fa pensare niente. Forziamo il principio d’identità a farci pensare qualcosa; lo invertiamo, lo rigiriamo. Voi mi direte che invertire A è A, da A è A. Sì e no. Fa A è A nella formulazione formale che impedisce il rovesciamento del principio. Ma nella formulazione filosofica, che riviene esattamente allo stesso tuttavia, “ogni proposizione analitica è una proposizione vera”, se voi rigirate il principio, “ogni proposizione vera è necessariamente analitica”, che cosa vuol dire? Ogni volta che voi formulate una proposizione vera, bisogna (ed è qui che c’è il grido), che voi lo vogliate o no, che sia analitica, cioè che essa sia riducibile a una proposizione d’attribuzione o di predicazione, e che non soltanto essa sia riducibile a un giudizio di predicazione o d’attribuzione (il cielo è blu), ma che essa sia analitica, cioè che il predicato sia o reciproco con il soggetto o contenuto nel concetto del soggetto? E’ qualcosa d' evidente? Si lancia in una strana cosa, e non è una questione di gusto per cui dice tutto ciò, ne ha bisogno. Ma si immette in una cosa impossibile: avrà bisogno in effetti di concetti completamente storpi per riuscire a compiere il compito che si è dato. Se ogni proposizione analitica è vera, bisogna che ogni proposizione vera sia analitica. Non è per niente semplice da concepire che ogni giudizio sia riducibile a un giudizio d’attribuzione. Non sarà facile da dimostrare. Si lancia in un' analisi combinatoria, come lo dice lui stesso che è fantastica. Perché non è facile da concepire, non è evidente? “La scatola di fiammiferi è sulla tavola”, dirò che è un giudizio di cosa? “sulla tavola”, è una determinazione spaziale. Potrei dire che la scatola di fiammiferi è “qui”. “Qui” che cos’è? Direi che è un giudizio di localizzazione. Ancora, ridico delle cose molto semplici, ma esse sono sempre state dei problemi fondamentali per la logica. Giusto per suggerire che in apparenza tutti i giudizi non hanno per forma la predicazione o l’attribuzione. Quando io dico: “il cielo è blu”, io ho un soggetto, cielo, e un attributo, blu. Quando io dico: “il cielo è la in alto”, o “io sono qui”, “qui”, localizzazione nello spazio, è assimilabile a un predicato? Posso formalmente ridurre il giudizio “io sono qui” ad un giudizio del tipo “io sono biondo”? non è sicuro che la localizzazione nello spazio sia una qualità. E “2+2=4” è un giudizio che chiamiamo normalmente di relazione. O se io dico “Piero è più piccolo di Paolo”, è una relazione fra due termini, Piero e Paolo. Senza dubbio oriento questa relazione su Piero: se io dico “Piero è più piccolo di Paolo”, io posso dire che “Paolo è più grande di Piero”. Dov’è il soggetto, dov’è il predicato? Ecco esattamente il problema che ha turbato la filosofia fin dal suo inizio. Da quando si ha la logica, ci si è domandati in quale misura il giudizio d’attribuzione poteva essere considerato come la forma universale di ogni giudizio possibile, oppure soltanto un caso di giudizio tra gli altri. Posso trattare “più piccolo di Paolo” come un attributo di Piero? Non è sicuro. Non c’è niente di evidente. Forse bisogna distinguere dei tipi di giudizi molto diversi gli uni dagli altri, a ben vedere: giudizio di relazione, giudizio di localizzazione spazio-temporale, giudizio d’attribuzione, e d’altri ancora: giudizio d’esistenza. Se io dico: “Dio esiste”, posso tradurlo formalmente con “Dio è esistente”, essendo esistente un attributo? Posso dire che “Dio esiste” è un giudizio della stessa forma che “Dio è onnipotente”? senza dubbio no, poiché non posso dire “Dio è onnipotente” se non aggiungendo “si, se esiste”. Dio esiste? L’esistenza è un attributo? Non è certo.
Vedete quindi che enunciando l’idea che ogni proposizione vera debba essere in un modo o nell’altro una proposizione analitica, cioè identica, Leibniz si è già dato un compito molto difficile; si impegna a dimostrare in quale modo ogni proposizione possa essere riducibile al giudizio di attribuzione, le proposizioni che enunciano delle relazioni, le proposizioni che enunciano delle esistenze, le proposizioni che enunciano delle localizzazioni, e che, al limite, esistere, essere in relazione con, possano essere tradotti come l’equivalente dell’attributo del soggetto.
Deve venir in luce nel vostro cervello l’idea di un compito infinito. Supponiamo che Leibniz ce la faccia; che mondo ne viene fuori? Quale strano mondo? Che cos’è questo mondo in cui io posso dire “ogni proposizione vera è analitica”? Vi ricordate bene che ANALITICA, è una proposizione in cui il predicato è identico al soggetto o è incluso nel soggetto. Ne verrà fuori uno strano mondo.
Che cos’è la reciproca del principio d’identità? Il principio d’identità, è quindi ogni proposizione vera è analitica, non l’inverso – ogni proposizione analitica è vera. Leibniz dice che c’è bisogno di un altro principio, la reciproca: ogni proposizione vera è necessariamente analitica. Gli darà un nome molto bello: principio di ragione sufficiente. Perché ragione sufficiente? Perché pensa di essere pienamente nel suo grido? BISOGNA CHE TUTTO ABBIA UNA RAGIONE. Il principio di ragione sufficiente può essere enunciato in questo modo: ogni cosa accada ad un soggetto, che siano delle determinazioni di spazio e di tempo, di relazione, evento, ogni cosa accada ad un soggetto, bisogna per forza che ciò che gli accade, ovvero ciò che si dice di lui con verità, bisogna che tutto ciò che si dice di un soggetto sia contenuto nella nozione del soggetto.
Bisogna per forza che ogni cosa che accade ad un soggetto sia già contenuta nella nozione del soggetto. La nozione di “nozione” sarà essenziale. Bisogna che blu sia contenuto nella nozione di cielo. Perché è il principio di ragione sufficiente? Perché se così fosse, ogni cosa avrebbe una ragione; la ragione, è precisamente la nozione stessa in quanto contiene tutto ciò che accade al soggetto in questione. Allora tutto ha una ragione.
Ragione = la nozione del soggetto in quanto questa nozione contiene tutto ciò che si dice con verità di questo soggetto. Ecco il principio di ragione sufficiente che è quindi proprio la reciproca del principio d’identità. Piuttosto che cercare delle giustificazioni astratte, mi domando quale strano mondo nascerà da tutto questo? Un mondo dai colori molto strani, riprendendo la mia metafora con la pittura. Un quadro firmato Leibniz. Ogni proposizione vera deve essere analitica o, ancora una volta, ogni cosa che voi dite con verità di un soggetto deve essere contenuta nella nozione del soggetto. Sentite che comincia già a divenire folle, c’è del lavoro per tutta la vita. Cosa vuol dire, la nozione? Questo, è firmato Leibniz. Come c’è una concezione hegeliana del concetto, c’è una concezione leibniziana del concetto.
c) ancora una volta il mio problema, è quale mondo sorgerà e in questo piccolo c) vorrei cominciare a dimostrare che, a partire da qui, Leibniz creerà dei concetti veramente allucinanti. E’ veramente un mondo allucinatorio. Se voi volete pensare ai rapporti della filosofia con la follia, per esempio, esistono delle pagine poco convincenti di Freud sul rapporto intimo della metafisica con il delirio. Possiamo cogliere la positività di questi rapporti soltanto con una teoria del concetto, e la direzione in cui vorrei andare, sarebbe il rapporto del concetto con il grido. Vorrei farvi sentire questa presenza di una specie di follia concettuale nell’universo di Leibniz così come lo vedremo nascere. E’ una dolce violenza, lasciatevi andare. Non si tratta di discutere. Capiate la sciocchezza delle obiezioni.
Faccio una parentesi per complicare. Voi sapete che c’è un filosofo posteriore a Leibniz che ha detto che la verità, è quella dei giudizi sintetici? Si oppone a Leibniz. D’accordo! Cosa ci interessa? E’ Kant. Non si tratta di dire che non sono d’accordo l’uno con l’altro. Quando dico questo, accredito a Kant un nuovo concetto che è il giudizio sintetico. Bisognava inventarlo questo concetto, e fu Kant ad inventarlo. Dire che i filosofi si contraddicono, è una frase da sciocchi, è come se diceste che Velasquez non era d’accordo con Giotto, è vero – non è neanche vero, è un non senso.
Ogni proposizione vera deve essere analitica, cioè tale che essa attribuisce qualcosa a un soggetto e che l’attributo deve essere contenuto nella nozione del soggetto. Facciamo un esempio. Non mi domando se è vero, mi domando cosa vuol dire. Facciamo un esempio di proposizione vera. Una proposizione vera potrebbe essere una proposizione elementare concernente un evento che ha avuto luogo. Prendiamo gli esempi di Leibniz stesso: “CESARE HA ATTRAVERSATO IL RUBICONE”.
E’ una proposizione. Essa è vera o noi abbiamo delle forti ragioni per supporre che essa sia vera. Altra proposizione: “ADAMO HA PECCATO”.
Ecco una proposizione altamente vera. Che cosa ne dite? Vedete che ognuna di queste proposizioni scelte da Leibniz come esempi fondamentali, sono delle proposizioni di eventi (événementielles), non si da un compito facile. Ci dice questo: poiché questa proposizione è vera, bisogna, che voi lo vogliate o no che il predicato “attraversare il Rubicone”, se la proposizione è vera, che questo predicato sia contenuto nella nozione di Cesare. Non in Cesare stesso, nella nozione di Cesare. La nozione del soggetto contiene tutto ciò che accade ad un soggetto, cioè tutto ciò che si dice di un soggetto con verità.
In “Adamo ha peccato”, peccato in quel momento appartiene alla nozione di Adamo. Attraversare il Rubicone appartiene alla nozione di Cesare. Direi che qui Leibniz mette in gioco uno dei suoi primi grandi concetti, il concetto d' inerenza. Tutto ciò che si dice con verità di qualcosa è inerente alla nozione di questo qualcosa. E’ il primo aspetto o lo sviluppo della ragione sufficiente.
d) quando diciamo ciò, non possiamo più fermarci. Quando si è cominciato nel dominio del concetto, non ci possiamo più fermare. Nel dominio dei gridi, c’è un grido famoso di Aristotele. Il grande Aristotele che, d’altronde, ha esercitato su Leibniz una forte influenza, esprime in un momento de La metafisica una formula molto bella: “bisogna proprio fermarsi” (anankéstenai). E’ un gran grido. E’ il filosofo davanti l’abisso della concatenazione dei concetti. Leibniz se ne frega, non si ferma. Perché? Se voi riprendete la proposizione c), tutto ciò che voi attribuite a un soggetto deve essere contenuto nella nozione di questo soggetto. Ma ciò che voi attribuite con verità a un soggetto qualunque nel mondo, che sia cesare, è sufficiente che voi gli attribuiate una sola cosa con verità per rendervi conto con spavento che, da quel momento, voi siete forzati di mettere nella nozione del soggetto, non solo la cosa che voi gli attribuite con verità, ma la totalità del mondo.
Perché? In virtù di un principio ben conosciuto che non è in nessun caso quello della ragione sufficiente. E’ il semplice principio di causalità. Perché in fin dei conti il principio di causalità va all’infinito, è questa la sua caratteristica. Ed è un infinito molto particolare poiché va verso l’indefinito. Il principio di causalità dice che ogni cosa ha una causa, ciò che è diverso dal dire che ogni cosa ha una ragione. Ma la causa, è una cosa, ed è a sua volta una causa, ecc., ecc. Posso fare la stessa cosa, ogni causa ha un effetto e questo effetto è a sua volta causa di effetti. Ci si presenta quindi una serie indefinita di cause e di effetti.
Che differenza c’è fra la ragione sufficiente e la causa? Si capisce bene. La causa non è mai sufficiente. Bisogna dire che il principio di causalità pone una causa necessaria, ma non sufficiente. Bisogna distinguere la causa necessaria e la ragione sufficiente.
Ciò che le distingue in tutta evidenza, è che la causa, è sempre altra cosa. La causa di A, è B, la causa di B, è C, ecc. serie indefinita di cause. La ragione sufficiente non è per niente altra cosa dalla cosa. La ragione sufficiente di una cosa, è la nozione della cosa. Quindi la ragione sufficiente esprime il rapporto della cosa con la sua propria nozione tanto è vero che la causa esprime il rapporto della cosa con un’ altra cosa. E’ chiaro.
e) Se voi dite che tal evento è compreso nella nozione di Cesare, “attraversare il Rubicone” è compreso nella nozione di Cesare. Non potete fermarvi, in che senso? E’ che, di causa in causa e di effetto in effetto, è in questo momento che la totalità del mondo deve essere compresa nella nozione di tal soggetto. Ciò diventa curioso, ecco che il mondo accade all’interno di ogni soggetto, o di ogni nozione di soggetto. In effetti, attraversare il Rubicone ha una causa, questa causa ha essa stessa più cause, di causa in causa, in causa di causa, e in causa di causa di causa. Tutta la serie del mondo passa da qui, almeno la serie antecedente. Inoltre, attraversare il Rubicone, ciò ha degli effetti. Per restare a dei grossi effetti: instaurazione di un impero romano. L’impero romano a sua volta ha degli effetti, noi dipendiamo direttamente dall’impero romano. Di causa in causa e di effetto in effetto, voi non potete dire che tal evento è compreso nella nozione di tale soggetto senza dire che, in questo modo, il mondo intero è compreso nella nozione di tale soggetto.
C’è proprio un carattere super-storico (trans-historique) della filosofia. Cosa vuol dire essere leibniziano nel 1980? E ce ne sono, in ogni caso è possibile che ce ne siano.
Se voi avete detto, conformemente al principio di ragione sufficiente, che ciò che accade a un soggetto qualunque, e che lo riguarda personalmente – quindi ciò che voi gli attribuite con verità, avere gli occhi blu, attraversare il Rubicone, etc. – appartiene alla nozione del soggetto, cioè è compreso in questa nozione del soggetto, voi non potete arrestarvi, siete obbligati a dire che questo soggetto contiene il mondo intero. Questo non è più il concetto d’inerenza o d’inclusione, è il concetto d' espressione che, in Leibniz, è un concetto fantastico. Leibniz si esprime in questa forma: la nozione del soggetto esprime la totalità del mondo.
Il suo proprio “attraversare il Rubicone” si estende infinitamente all’indietro e in avanti per il doppio gioco delle cause e degli effetti. Ma allora, è venuto il tempo per quanto ci riguarda, poco importa ciò che ci accade e l’importanza di ciò che ci accade. Bisogna dire che è ogni nozione di soggetto che contiene o esprime la totalità del mondo. Il che significa che ognuno di voi, io, esprime o contiene la totalità del mondo. Tutto come Cesare. Né più né meno. Diventa più complicato, perché? Grande pericolo: se ogni nozione individuale, se ogni nozione di soggetto esprime la totalità del mondo, ciò vuol dire che c’è un solo soggetto, un soggetto universale, e che voi, io, Cesare, non saremmo che delle apparenze di questo soggetto universale. Sarebbe una possibilità per poter dire questo: ci sarebbe un solo soggetto che esprime il mondo.
Perché Leibniz non può dirlo? Non ha scelta. Sarebbe come negarsi. Tutto ciò che ha fatto precedentemente con il principio di ragione sufficiente, dove lo portava? Era a mio avviso la prima grande riconciliazione del concetto e dell’individuo. Leibniz stava costruendo un concetto del concetto tale che il concetto e l’individuo divenivano alla fine adeguati l’uno all’altro. Perché?
Che il concetto vada fino all’individuale, perché e’ qualcosa di nuovo? Nessuno aveva mai osato. Il concetto, che cos’e’? Si definisce con l’ordine della generalità. Abbiamo un concetto quando si ha una rappresentazione che si applica a più cose. Ma che il concetto e l’individuo si identifichino, questo non si era mai fatto. Nessuna voce aveva mai riecheggiato nel dominio del pensiero per dire che il concetto e l’individualità’ sono la stessa cosa.
Si era sempre distinto un ordine del concetto che rinviava alla generalità e un ordine dell’individuo che rinviava alla singolarità. Ancor di più, si era sempre considerato come ovvio che l’individuo non era come tale comprensivo nel concetto. Si e’ sempre ritenuto che il nome proprio non fosse un concetto. In effetti, “cane” e’ un concetto, “Medor” non lo e’. C’e’, si, una caninità di tutti i cani, come dicono certi logici in uno splendido linguaggio, ma non c’e’ una medorità di tutti i Medor. Leibniz e’ il primo a dire che i concetti sono dei nomi propri, vale a dire che i concetti sono delle nozioni individuali.
C’e’ un concetto dell’individuo come tale. Quindi, capite bene che Leibniz non può ripiegarsi sulla proposizione poiché ogni proposizione vera e’ analitica; il mondo quindi e’ contenuto in un solo ed unico soggetto che sarebbe un soggetto universale. Non può poiché il suo principio di ragion sufficiente implicava che ciò che era contenuto in un soggetto – dunque ciò che era vero, ciò che era attribuibile ad un soggetto – era contenuto nel soggetto a titolo di soggetto individuale. Quindi non può darsi una specie di spirito universale. Bisogna che resti fisso alla singolarità, all’individuo come tale. E in effetti, questa sarà una delle grandi originalità di Leibniz, la sua formula perpetua: la sostanza (nessuna differenza fra sostanza e soggetto per lui), la sostanza e’ individuale.
E’ la sostanza Cesare, e’ la sostanza voi, la sostanza me, etc. Domanda urgente nella mia piccola d) poiché egli si e’ sbarrato la strada per invocare uno spirito universale. Esiste anche un piccolissimo testo di Leibniz, intitolato Considerazioni sullo spirito universale, in cui mostra in cosa c’e’ uno spirito universale, Dio, ma che ciò non impedisce alle sostanze di essere individuali.
Poiché ogni sostanza esprime il mondo, o piuttosto ogni nozione sostanziale, ogni nozione di un soggetto, poiché ciascuna esprime il mondo, voi esprimete il mondo, da sempre. Ci diciamo, in effetti, ed e’ in questione la vita perché l’obiezione viene spontanea, gli diciamo: ma allora, la libertà? Se tutto ciò che accade a Cesare e’ incluso nella nozione individuale di Cesare, se il mondo intero e’ compreso nella nozione universale di Cesare, Cesare, attraversando il Rubicone, non fa che svolgere – parola curiosa, evolvere, che appare spesso in Leibniz – o esplicare (e’ la stessa cosa), cioè alla lettera dispiegare, come voi dispiegate un tappeto. E’ la stessa cosa: esplicare, dispiegare, svolgere. Quindi attraversare il Rubicone come evento non fa che svolgere qualcosa che era compreso da sempre nella nozione di Cesare. Come vedete e’ un vero problema.
Cesare attraversa il Rubicone in tale anno, ma che attraversi il rubicone in tale anno, era compreso da sempre nella sua nozione individuale. Quindi, dov’e’ questa nozione individuale? Essa e’ eterna. C’e’ una verità eterna degli eventi datati. Ma allora, e la libertà? Gli cade il mondo addosso. La libertà e’ qualcosa di pericoloso nel regime cristiano. Allora Leibniz farà un piccolo opuscolo, Della libertà, in cui spiega cos’e’ la libertà. Sarà qualcosa di molto strano per lui la libertà. Ma lasciamo da parte questo argomento per il momento.
Ma cos’e’ che distingue un soggetto da un’altro? Questa questione non possiamo lasciarla da parte per il momento, altrimenti spezziamo il nostro discorso. Che cosa distingue voi da Cesare poiché lui come voi esprimete la totalità del mondo, presente, passato e futuro? E’ curioso questo concetto d' espressione. E’ qui che lancia una nozione molto ricca.
f) Ciò che distingue una sostanza individuale da un’altra, non e’ difficile. In un certo modo bisogna che sia irriducibile. Bisogna che ognuno, ogni soggetto, per ogni nozione individuale, ogni nozione di soggetto comprenda la totalità del mondo, esprima questo mondo totale, ma da un certo punto di vista. E qui comincia una filosofia prospettivista. E non e’ poco. Voi mi direte: che cosa c’e’ di più banale dell’espressione “un punto di vista”? Se la filosofia significa creare dei concetti, cosa vuol dire creare dei concetti?
In generale, sono delle formule banali. I grandi filosofi hanno ognuno delle formule banali alle quali strizzano l’occhio. Strizzare l’occhio per un filosofo e’, al limite, prendere una formula banale e divertirsi, voi non sapete cosa ci metterò dentro. Fare una teoria del punto di vista, cosa implica? Poteva esser fatta in qualsiasi momento? E’ un caso che sia Leibniz a fare la prima grande teoria proprio in quel momento? Nel momento in cui lo stesso Leibniz crea un capitolo di geometria particolarmente fecondo, la geometria detta proiettiva. E’ un caso che sia accaduto in seno ad un’epoca in cui si sono elaborate, in architettura come in pittura, ogni sorta di tecnica di prospettiva? Teniamo giusto di conto di questi due domini che simbolizzeremo così: l’architettura-pittura e la prospettiva nella pittura da una parte, e dall’altra la geometria proiettiva. Capite dove vuole arrivare Leibniz. Dirà che ogni nozione individuale esprime la totalità del mondo, si, ma da un certo punto di vista.
Cosa vuol dire? Come non c’e’ niente banalmente, pre-filosoficamente, anche qui non può più fermarsi. Lo costringe a mostrare che ciò che costituisce la nozione individuale in quanto individuale, e’ un punto di vista. E dunque che il punto di vista e’ più profondo di ciò che su di lui si posa.
Bisogna proprio che ci sia, al fondo di ogni nozione individuale, un punto di vista che definisce la nozione individuale. Se volete, il soggetto e’ secondo in rapporto al punto di vista. Ebbene, dire ciò, non e’ affatto un gioco, non e’ qualcosa di trascurabile.
Fonda una filosofia che troverà accoglienza in un altro filosofo che tende così la mano a Leibniz al di là dei secoli, ovvero Nietzsche. Nietzsche dirà: la mia filosofia, e’ il prospettivismo. Il prospettivismo, voi capite che diventa banale o idiota se ciò consiste nel dire che tutto e’ relativo al soggetto, o che tutto e’ relativo. Tutti lo dicono; fa parte di quelle proposizioni che non fanno male a nessuno poiché essa e’ priva di senso. Ma aiuta la conversazione. Fin quando prendo la formula come significante tutto dipende dal soggetto, ciò non vuol dire niente, ho provocato, come si dice...
(Fine banda sonora)
...Ciò che fa me=me, e’ un punto di vista sul mondo. Leibniz non potrà fermarsi, dovrà andare verso una teoria del punto di vista tale per cui il soggetto sia costituito dal punto di vista e non il punto di vista costituito dal soggetto. Quando, nel pieno del XIX secolo, Henry James rinnovò le tecniche del romanzo con un prospettivismo, con la mobilizzazione di punti di vista, anche in James, non sono i punti di vista che si esplicano dal soggetto, e’ l’inverso, sono i soggetti che si esplicano dai punti di vista. Un' analisi dei punti di vista come ragione sufficiente dei soggetti, ecco la ragione sufficiente del soggetto. La nozione individuale, e’ il punto di vista sotto il quale l’individuo esprime il mondo. Tutto ciò e’ bello e anche poetico. James ha delle tecniche sufficienti per far sì che non ci sia un soggetto; diventa questo o quel soggetto colui che e’ determinato ad essere in quel punto di vista. E’ il punto di vista che esplica il soggetto e non l’inverso.
Leibniz: “ogni sostanza individuale e’ come un mondo intero e come uno specchio di Dio o se si vuole di tutto l’universo che ognuna esprime della sua maniera: più o meno come una stessa città e’ diversamente rappresentata secondo le diverse situazioni di colui che la osserva. Così l’universo e’ in qualche modo moltiplicato tante volte quante sono le sostanze, e la gloria di Dio aumenta allo stesso modo per quante rappresentazioni diverse del suo [????].” Parla come un cardinale. Si può anche dire che ogni sostanza porta in qualche modo il carattere della saggezza infinita e di tutta la potenza di Dio, e limita tanto quanto essa e’ suscettibile.
In questo e) dirò che il nuovo concetto di punto di vista è più profondo che di quello di individuo e di sostanza individuale. E’ il punto di vista che definirà l’essenza. L’essenza individuale. Dobbiamo credere che, ad ogni nozione individuale corrisponde un punto di vista. Ma ciò si complica perché questo punto di vista varrebbe dalla nascita alla morte dell’individuo. Ciò che ci definirebbe, e’ un certo punto di vista sul mondo.
Dicevo prima che Nietzsche ritrovò questa idea. Non gli piaceva ma ciò che gli prese... La teoria del punto di vista, e’ un’idea del rinascimento. Il Cardinale di Cuses, grande filosofo del rinascimento, invocò il ritratto mutante in base al punto di vista. Al tempo del fascismo italiano, era possibile vedere un ritratto molto strano un po’ dappertutto: frontalmente rappresentava Mussolini, sulla destra rappresentava suo genero, e se ci si metteva sulla sinistra, rappresentava il re.
L’analisi dei punti di vista, in matematica – ed anche qui e’ Leibniz che fa fare a questo capitolo della matematica un progresso considerevole sotto il nome di analysis situs – (ed) e’ evidente che e’ legato alla geometria proiettiva. C’e’ una specie d' essenzialità, d’oggettività’ del soggetto, e l’oggettività’, e’ il punto di vista. Concretamente, che ognuno esprima il mondo dal suo punto di vista, cosa vuol dire? Leibniz non si tira indietro davanti ai concetti anche i più strani. Non posso neanche più dire “dal suo proprio punto di vista”. Se io dicessi “dal suo proprio punto di vista”, farei dipendere il punto di vista del soggetto preliminare, oppure l’inverso.
Ma che cos’e’ che determina questo punto di vista? Leibniz: capite bene, ognuno di noi esprime la totalità del mondo, soltanto che la esprime oscuramente e confusamente. Oscuramente e confusamente, cosa vogliono dire nel vocabolario di Leibniz? Vogliono dire che la totalità del mondo e’ sì in lui, ma sotto forma di piccola percezione. Le piccole percezioni. E’ un caso che Leibniz sia uno degli inventori del calcolo differenziale? Sono delle percezioni infinitamente piccole, in altri termini delle percezioni incoscienti. Io esprimo tutto il mondo, ma oscuramente e confusamente, come un clamore.
Più tardi, vedremo perché tutto questo e’ legato al calcolo differenziale, ma sentite che le piccole percezioni o l’inconscio, sono come dei differenziali della coscienza, delle percezioni senza coscienza. Per la percezione cosciente, Leibniz si serve di un’altra parola: l’appercezione (aperception). L’appercezione, (apercevoir) scorgere-accorgersi-intravedere, e’ la percezione cosciente, e la piccola percezione, è la differenziale della coscienza che non e’ data nella coscienza. Tutti gli individui esprimono la totalità del mondo oscuramente e confusamente. Allora, cosa distingue un punto di vista da un altro punto di vista? In compenso, c’e’ una piccola porzione del mondo che io esprimo chiaramente e distintamente, e ogni soggetto, ogni individuo ha la sua piccola porzione, in che senso? Nel senso molto preciso che questa porzione del mondo che io esprimo chiaramente e distintamente, la esprimono anche tutti gli altri soggetti, ma confusamente e oscuramente. Ciò che definisce il mio punto di vista, e’ come una specie di proiettore che, nel rumore del mondo oscuro e confuso, salvaguarda una zona limitata d’espressione chiara e distinta. Anche stupidi che voi possiate essere, o insignificanti che possiamo essere, noi abbiamo il nostro piccolo affare (truc), anche il più piccolo parassita ha il suo piccolo mondo: non esprime molte cose chiaramente e distintamente, ma ha la sua piccola porzione. I personaggi di Beckett, sono degli individui: tutto e’ confuso, dei rumori, non si capisce nulla, sono dei brandelli; c’e’ il grande rumore del mondo. Pietosi che siano nel loro bidone della spazzatura, hanno una piccola zona tutto loro. Ciò che il grande Molloy chiama “le mie proprietà”. Non si muove più, ha il suo piccolo gancio e, nel raggio di un metro, con il suo gancio, padroneggia delle cose, le sue proprietà. E’ la zona chiara e distinta che egli esprime. Siamo tutti in questa situazione. Ma la nostra zona e’ più o meno grande, e ancora non e’ certo, ma non e’ mai la stessa. Ciò che fa il punto di vista, che cos’è? E’ la proporzione della regione del mondo espressa chiaramente e distintamente da un individuo in rapporto alla totalità del mondo espressa oscuramente e confusamente. E’ questo, il punto di vista.
C’e’ una metafora cara a Leibniz: voi siete vicini al mare e ascoltate le onde. Voi ascoltate il mare e sentite il rumore di un’onda, e ho un' appercezione: distinguo un’onda. E Leibniz dice: voi non sentireste l’onda se non aveste avuto prima una piccola percezione inconscia del rumore di ogni goccia d’acqua che scivola l’una in rapporto all’altra, e che fanno l’oggetto delle piccole percezioni. C’e’ il rumore di tutte le gocce d’acqua, e voi avete la vostra piccola zona di chiarezza, cogliete chiaramente e distintamente una risultante parziale di questo infinito di gocce, di questo infinito del rumore, e ne fate il vostro piccolo mondo, la vostra proprietà.
Ogni nozione individuale ha il suo piccolo punto di vista, ciò vuol dire che da questo punto di vista, essa preleva sull’insieme del mondo che egli esprime una porzione determinata d’espressione chiara e distinta. Dati due individui, voi avete due possibilità: o le loro zone non comunicano assolutamente, e non simbolizzano l’una con l’altra – non ci sono soltanto delle comunicazioni dirette, possiamo pensare che ci siano anche delle analogie – e in questo caso non abbiamo niente da dirci; oppure sono come due cerchi che si intersecano: c’e’ una piccola zona comune; in questo caso si può fare qualcosa insieme. Leibniz può quindi dire con forza che non ci sono due sostanze individuali identiche, non ci sono due sostanze individuali che abbiano lo stesso punto di vista o che abbiamo esattamente la stessa zona chiara e distinta d’espressione. E infine, colpo di genio di Leibniz: che cosa definirà la zona d’espressione chiara e distinta che io ho? Io esprimo la totalità del mondo ma non ne esprimo chiaramente e distintamente che una porzione ridotta, una porzione finita. Quello che io esprimo chiaramente e distintamente, ci dice Leibniz, e’ ciò che ha attinenza col mio corpo (qui a trait à mon corps). E’ la prima volta che interviene questa nozione di corpo. Vedremo cosa vuol dire questo corpo, ma ciò che io esprimo chiaramente e distintamente è ciò che affetta il mio corpo. Quindi, si capisce che io non esprimo chiaramente e distintamente il passaggio del Rubicone – questo, questo concerneva il corpo di Cesare. C’e’ qualcosa che concerne il mio corpo e che io sono il solo ad esprimere chiaramente e distintamente, sul fondo di questo rumore che ricopre tutto l’universo.
g) In questa storia della città, c’e’ una difficoltà. Ci sono diversi punti di vista – molto bene. Questi punti di vista preesistono al soggetto che ci si posa sopra, molto bene. A questo momento, il segreto del punto di vista e’ matematico; e’ geometrico e non psicologico. In ogni caso almeno psichico-geometrico. Leibniz e’ un uomo di nozione, non e’ un uomo di psicologia.
Ma tutto mi spinge a pensare che la città esiste fuori dai punti di vista. Ma nella mia storia di mondo espresso, nella maniera in cui siamo partiti, il mondo non ha nessuna esistenza al di fuori del punto di vista che lo esprime – il mondo non esiste in se. Il mondo, e’ unicamente l’espresso comune di tutte le sostanze individuali, ma l’espresso non esiste al di fuori di ciò che lo esprime. Il mondo non esiste in se, il mondo, esso e’ unicamente l’espresso. Il mondo intero e’ contenuto in ogni nozione individuale, ma non esiste se non in quest’inclusione. Non ha esistenza al di fuori. E’ in questo senso che Leibniz sarà sovente, e non a torto, dalla parte degli idealisti: non c’e’ un mondo in se, il mondo non esiste se non nelle sostanze individuali che l’esprimono. E’ l’espresso comune di tutte le sostanze individuali. E’ l’espresso di ogni sostanza individuale, ma l’espresso non esiste fuori delle sostanze che lo esprimono. E’ un vero problema!
Che cosa distingue queste sostanze? Il fatto e’ che esse esprimono tutte lo stesso mondo, ma non esprimono la stessa porzione chiara e distinta. E’ come un gioco di scacchi.
Il mondo non esiste. E’ la complicazione del concetto d' espressione che ci pone di fronte a quest’ ultima difficoltà. Inoltre bisogna che tutte le nozioni individuali esprimano lo stesso mondo. Allora è strano – è strano, perché in virtù del principio d‘identità che ci permette di determinare ciò che è contraddittorio, ovvero ciò che è impossibile -, sarebbe A che non è A. E’ contraddittorio. Esempio: il cerchio quadrato, è un cerchio che non è un cerchio. Quindi, a partire dal principio d’identità, io posso avere un criterio della contraddizione. Secondo Leibniz, io posso dimostrare che 2 + 2 non può fare 5, io posso dimostrare che un cerchio non può essere quadrato. Tanto che, al livello della ragione sufficiente, è molto più complicato. Perché? Perché Adamo non peccatore, Cesare che non attraversa il Rubicone, non sono come il cerchio quadrato. Adamo non peccatore, non è contraddittorio. Sentite come proverà a salvare la libertà, una volta immessosi in una situazione difficile per salvarla. Non è per niente impossibile: Cesare avrebbe potuto non attraversare il Rubicone, tanto è vero che un cerchio non può essere quadrato – qui non c’è libertà. Allora, siamo di nuovo bloccati, ancora Leibniz ha bisogno di un nuovo concetto e, fra tutti i suoi folli concetti, sarà senza dubbio il più folle. Adamo avrebbe potuto non peccare, quindi in altri termini, le verità rette dal principio di ragione sufficiente non sono dello stesso tipo delle verità rette dal principio d’identità, perché? Perché le verità rette dal principio d’identità sono tali che il loro contraddittorio è impossibile, tanto che le verità rette dal principio di ragione sufficiente hanno un contraddittorio possibile: Adamo non peccatore è possibile. Ciò è anche tutto quello che distingue, secondo Leibniz, le verità dette d’essenza e le verità dette d’esistenza. Le verità d’esistenza, sono tali per cui il loro contraddittorio è possibile.
Come farà Leibniz ad eliminare quest’ultima difficoltà: come può mantenere allo stesso tempo tutto ciò che Adamo ha di fatto contenuto da sempre nella sua nozione individuale (e potrà essendo Adamo non peccatore possibile)? Sembra bloccato, è delizioso perché sotto questo aspetto i filosofi, sono un poco come dei gatti, è quando sono bloccati che si disimpegnano, oppure come un pesce: è il concetto divenuto pesce. Ci racconterà la cosa seguente: che Adamo non peccatore, è perfettamente possibile, come Cesare che non ha attraversato il Rubicone; tutto ciò è possibile ma non si è prodotto perché, anche se possibile in se, è incompossibile.
Ed ecco che crea il concetto molto strano di incompossibilità. Al livello delle esistenze, non basta che una cosa sia possibile per esistere, ma abbiamo bisogno di sapere con cosa essa è compossibile. Adamo non peccatore, nel momento in cui è possibile in se stesso, è incompossibile con il mondo che esiste. Adamo avrebbe potuto non peccare, si, ma a condizione di avere un altro mondo. Vedete che l’ inclusione del mondo nella nozione individuale, e il fatto che un’ altra cosa fosse possibile, concilia in un sol colpo, con la nozione di compossibilità, Adamo non peccatore fa parte di un altro mondo. Adamo non peccatore sarebbe stato possibile, ma questo mondo non è stato scelto. E’ incompossibile con il mondo esistente. Esso non è compossibile se non con altri mondi possibili che non sono passati all’ esistenza.
Perché è proprio questo mondo che è passato all’esistenza? Leibniz spiega quella che è, secondo lui, la creazione dei mondi fatta da Dio, e capiamo bene in che modo essa sia una teoria dei giochi: Dio, nel suo intelletto, concepisce un infinità di mondi possibili, solo che questi mondi possibili non sono conpossibili gli uni con gli altri, e ciò risulta chiaro dal fatto che è Dio a scegliere il migliore. Sceglie il migliore dei mondi possibili. E notiamo che il migliore dei mondi possibili implica Adamo peccatore. Perché? Sarà orribile. Ciò che è interessante logicamente, è la creazione di un concetto proprio di compossibilità per designare una sfera logica più ristretta di quella della possibilità logica. Per esistere, non basta che qualcosa sia possibile, c’è bisogno anche che questa cosa sia conpossibile con le altre che costituiscono il mondo reale.
In una formula celebre de La monadologia, Leibniz dice che le nozioni individuali sono senza porte e senza finestre. Questo correggerà la metafora della città. Senza porte né finestre, ciò vuol dire che non ci sono aperture. Perché? Perché non c’è l’esteriore. Il mondo che le nozioni individuali esprimono è interiore, è incluso nelle nozioni individuali. Le nozioni individuali sono senza porte e senza finestre, tutto è incluso in ognuna, e tuttavia c’è un mondo comune a tutte le nozioni individuali: il fatto è che ogni nozione individuale include, a ben vedere la totalità del mondo, lo include sotto una forma in cui ciò che essa esprime è conpossibile con ciò che le altre esprimono. Che meraviglia. E’ un mondo in cui non c’è nessuna comunicazione diretta tra i soggetti. Tra Cesare e voi, tra voi e me, non c’è nessuna comunicazione diretta, e come diremmo oggi, ogni nozione individuale è programmata in tal modo che ciò che essa esprime forma un mondo comune con ciò che esprime l’altra. E’ uno degli ultimi concetti di Leibniz: l’armonia prestabilita. Prestabilita, è assolutamente un’armonia programmata. E’ l’idea dell’automa spirituale, e allo stesso tempo è la grande era degli automi, questa fine del XVII° secolo.
Ogni nozione individuale è come un automa spirituale, ovvero ciò che essa esprime è interiore a essa, essa è senza porte né finestre; essa è programmata in tal modo che ciò che essa esprime sia in compossibilità con ciò che un’ altra esprime. Ciò che ho fatto oggi è stata unicamente una descrizione del mondo di Leibniz, anzi solo una parte di questo mondo. Quindi, abbiamo illustrato successivamente le nozioni seguenti: ragione sufficiente, inerenza e inclusione, espressione o punto di vista, incompossibilità.